“Cà de matt" è costruita dentro la collina, sbancando e
rosicchiando il crinale per far posto oltre ai suoi due piani, al terreno
circostante fatto di un giardino davanti e terrazzamenti dietro. Per arginarli e darne forma, cemento e
muretti. Se il cemento fu opera dei costruttori, i muretti sono stati quasi tutti il
frutto del lavoro di zio Daniele.
“Glielo hanno insegnato i tedeschi”
“Dategli da fare un muretto o una scaletta ed è felice”.
Per anni, cioè sino a che tutti i passaggi e i collegamenti da un
piano all’altro del terreno furono completati, il tormentone che lo
contraddistingueva era legato al cemento.
Non so se zio Daniele, partito per il servizio militare prima
dello scoppio della seconda guerra, arruolato come “geniere“, di stanza in
Albania, fatto prigioniero dopo l’8 settembre, deportato nel IV Lager di Munster e tornato a casa nel novembre del 1945, imparò davvero a
fare muretti e scale in cemento durante il periodo della prigionia. So però che
in uno dei tanti muretti è finito, a mo’ di armatura, tutto un servizio da 24
di posate di peltro, quei posatoni grossi e ingombranti che oggi farebbero
felice un robivecchi. Una zia riuscì a salvare solo qualche forchetta e qualche
coltello, che ancora oggi dimorano abbandonati in un cassetto a imperitura
memoria del sacrificio delle posate consorelle cementate.
E poi c’è il
ponticello, che serve ad accedere dal primo piano al primo terrazzamento sul
retro della casa. Non ha solo avuto da sempre il ruolo di passaggio da interno
a esterno, per salire di uno, e poi due e infine tre "piani" esterni,
i terrazzamenti nel verde un tempo giardino curato oggi selva quasi selvaggia.
Sino a fine anni Settanta al ponticello era appesa un’altalena: quello, tra i
tanti luoghi dell’infanzia, resta ancora sospeso in un cullare dolce
dell’anima.
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